sabato 23 marzo 2024

Responsabilità professionale medica, stop alle "liti temerarie" contro i medici

 Stop alle "liti temerarie" contro i medici: su 100 cause per responsabilità professionale, nel penale, solo il 5% porta a una condanna. La “Commissione per lo studio e l’approfondimento delle problematiche relative alla colpa professionale medica”, istituita circa un anno fa dal ministro della Giustizia Carlo Nordio, e guidata dal magistrato Adelchi d’Ippolito, è arrivata "all'ultimo miglio". Tra le misure individuate dalla commissione, per correggere la legge 24 del 2017 (la cosiddetta Legge Gelli-Bianco) e ridurre così il numero delle cause, c'è proprio l’introduzione dell’istituto della lite temeraria, grazie al quale si dovrebbe riuscire a contenere il fenomeno delle denunce (molto spesso viene avviato un processo penale contro un medico, salvo poi ritirare la denuncia quando si è addivenuti a una transazione economica). "Da statistiche ufficiali su 100 denunce contro medici per responsabilità professionale, nel penale, la percentuale delle condanne è al di sotto del 5%", ha spiegato al Senato Adelchi d'Ippolito, intervenendo a Roma a un convegno su "Colpa Medica: dalla medica difensiva alla medicina preventiva", organizzato da Valore, nel contesto del Forum Valore Club, su iniziativa dei senatori di Fratelli d’Italia Raoul Russo e Gianni Berrino. "Le 95 assoluzioni però, non è come se non fosse accaduto nulla; quelle denunce hanno comunque lasciato nel medico una traccia profonda, lo hanno reso preoccupato, costringendolo alla medicina difensiva, con i maggiori costi che questa rappresenta per la sanità pubblica". "Non si può seguire la strada della depenalizzazione, perché comunque bisogna lasciare al cittadino una tutela piena davanti al giudice. Occorre però trovare un punto di equilibrio perfetto. Vogliamo quindi introdurre degli istituti che puntino a ridurre le denunce nei confronti dei medici", ha aggiunto d'Ippolito.

Tra le modifiche alla legge Gelli Bianco, la commissione starebbe pensando quindi a un intervento sulle consulenze tecniche, cercando di innalzare il livello di terzietà ed equidistanza di questi da pm e paziente, limitando il fenomeno delle numerose nomine che riguardano sempre i medesimi professionisti a discapito di una reale indipendenza di giudizio. Infine la commissione punta a ribaltare, nelle cause civili, l’onere della prova ponendola in capo al ricorrente e non più al medico o alla struttura sanitaria. 

Passare dalla logica del risarcimento del danno a quella dell'indennità

Una delle ipotesi che da molti addetti ai lavori è stata portata avanti è quella di rivedere il principio del risarcimento del danno e trasformarlo in un maccnismo di indennizzo, come avvenuto peraltro di recente con le controversie relative al Covid.  “La responsabilità medica è un sistema complesso dove la specificità dell’atto medico si intreccia con l’evoluzione normativa e giurisprudenziale, i cambiamenti socio-culturali e, non da ultimo, l’impatto delle nuove tecnologie.” – ha deetto il Dott. Francesco de Micco, clinical risk manager della Fondazione Policlinico Campus Bio-Medico – “ In quest’ottica, è necessario promuovere una sempre maggiore umanizzazione delle cure per recuperare pienamente l’alleanza terapeutica, rispetto alla quale una relazione tra medico e paziente fondata sulla fiducia si pone come un prerequisito irrinunciabile".

Il Prof. Giuseppe Vetrugno, Associato di Medicina Legale e Responsabile dell'UOS Risk Management presso la Fondazione Policlinico Universitario "A. Gemelli" IRCCS, ha evidenziato l'evoluzione del concetto di rischio clinico e la necessità di adottare approcci radicalmente diversi nella gestione degli errori in medicina. Ha inoltre esposto la complessità normativa e giurisprudenziale che circonda la responsabilità medica, sottolineando l'importanza di un'azione legislativa mirata a favorire una gestione del rischio più efficace e equa.

“La logica sottesa alle norme penali che definiscono la colpa medica, persegue obiettivi e utilizza strumenti affatto diversi rispetto a quelli propri della gestione del rischio sanitario. Ciò rappresenta un ostacolo all’apprendimento organizzativo e all’utilizzo di strumenti di analisi del rischio di tipo proattivo. Inoltre, incoraggia la medicina difensiva e compromette ulteriormente l’alleanza terapeutica tra operatori sanitari e persone assistite.”- ha dichiarato Giuseppe Sabatelli, Coordinatore del Centro Regionale Rischio Clinico (CRRC) della regione Lazio – “ È pertanto auspicabile la ricerca di soluzioni alternative al solo diritto penale al fine di perseguire la migliore tutela delle persone assistite, degli operatori e delle organizzazioni, nonché assicurare la sostenibilità del Servizio Sanitario Nazionale.”

Per Francesco Napolitano, avvocato assicurativo e founder dello studio legale NapolitanoLex, ha sottolineato come in tema di indicazione dei massimali sia opportuno un meccanismo bonus-malus per sinistri non denunciati e quanti si chiudono con rigetto della richiesta. Un meccanismo di premio in diminuzione per analisi e gestione rischio e cause. La scelta deve risultare da apposita delibera aziendale, che specifica motivazioni e modalità di operatività. Infine la costituzione fondo al termine di ogni esercizio sulla base dei rischi/sinistri individuabili, utilizzabile solo per risarcimento dei danni individuati; in caso di insufficienza deve essere subito ricostituito ovvero stipulata una polizza assicurativa; I protocolli di gestione, compiutamente declinati in polizza, garantiscono massima collaborazione ed efficienza tra compagnia ed assicurato nella gestione del sinistro, anche ai fini di formulare un’offerta condivisa, sia in caso di auto-ritenzione che di franchigia contrattuale.

Diversi gli esperti che si sono confrontati sulla necessità di riformare il sistema sanitario in direzione di una pratica medica più consapevole, orientata alla prevenzione e alla promozione della salute, piuttosto che alla difesa legale retroattiva. "Questa iniziativa si inserisce in un più ampio progetto promosso da Valore volto a portare l'attenzione dei decisori politici, mondo professionale e società di assicurazioni e gestori di fondi sanitari sull'agenda di una più completa riforma della responsabilità medica e della sostenibilità finanziaria del sistema sanitario nazionale" ha detto Stefano Ronchi, Ceo di Valore.

fonte:italiaoggi.it


martedì 2 gennaio 2024

Violenza sessuale: costituisce ''induzione'' qualsiasi forma di sopraffazione della vittima

 L’induzione necessaria ai fini della configurabilità del reato di violenza sessuale non si identifica solo con la persuasione subdola ma si estrinseca in qualsiasi forma di sopraffazione nei confronti della vittima, che, a causa della sua condizione di inferiorità, soggiace al volere dell’autore della condotta (Cassazione penale, sentenza n. 47018/2023).

Il fatto

Il giudizio in relazione al quale è intervenuta la pronuncia in esame si era concluso nei gradi di merito con la condanna dell’imputato, paramedico di una casa di cura privata, per la violenza sessuale aggravata consumata nei confronti di una paziente, consistita in toccamenti della zona sovra-pubica e pubica con penetrazione delle dita in vagina, mentre era ancora ricoverata in seguito a un intervento chirurgico e sotto l’effetto dell’anestesia.

I Giudici di merito avevano accertato in fatto che: la persona offesa, dopo aver subito un intervento chirurgico in orario pomeridiano, aveva trascorso la notte in una camera della casa di cura, nella quale l’imputato, quale infermiere di turno nel reparto, aveva eseguito vari accessi per verificare la spontanea ripresa della minzione e, nell’occasione, aveva praticato massaggi in zona pubica e sovrapubica penetrandola più volte con le dita in vagina; la donna aveva percepito l’abuso, allertando durante la notte la figlia della signora del letto accanto che faceva la notte per la madre, per poi parlarne la mattina dopo a un’amica via chat, al medico che era passato per la visita di controllo e alla madre e decidere di sporgere formale querela il giorno successivo.

L’imputato ricorreva per cassazione deducendo plurimi motivi di violazione di legge e vizio di motivazione, in particolare, per quel che maggiormente interessa, denunciava la mancata correlazione tra accusa e sentenza dal momento che il fatto gli era stato contestato come “costrizione” all’atto sessuale ex art. 609 bis comma 1 c.p.p., mentre la condanna in sede di giudizio abbreviato era stata pronunciata (e confermata in appello) per “induzione” a subire atti sessuali, con abuso delle condizioni di inferiorità fisica e psichica della persona offesa al momento del fatto ex art. 609 bis comma 2 n. 1 c.p.p.. Evidenziava che le manovre sulla persona offesa erano state eseguite per favorire la minzione spontanea e che la donna aveva mal interpretato la pratica sanitaria a causa dell’anestesia.

La sentenza

La sentenza assume particolare interesse in relazione alle motivazioni rese sul difetto di correlazione tra accusa e sentenza denunciato dal ricorrente.

In merito al principio di correlazione ex art. 521 c.p.p. la Corte ha ricordato che per aversi mutamento del fatto, occorre una trasformazione radicale, nei suoi elementi essenziali, della fattispecie concreta nella quale si riassume l’ipotesi astratta prevista dalla legge, in modo che si configuri un’incertezza sull’oggetto dell’imputazione da cui scaturisca un reale pregiudizio dei diritti della difesa; e che tale pregiudizio non sussiste quando la riqualificazione sia prevedibile.

In applicazione di tali principi, nella prassi, la violazione del principio di correlazione nella materia sessuale è stata ritenuta allorquando si sia passati dalla costrizione all’induzione senza che nella descrizione del fatto ricorressero entrambe le ipotesi mentre è stata esclusa quando la contestazione comprendeva sia gli elementi della costrizione che quelli dell’induzione perchè è stato accertato in concreto che l’induzione costituiva la proiezione della costrizione per cui l’imputato si era potuto difendere da tutti i fatti ascrittigli.

Nel caso in esame la contestazione era stata formulata ai sensi dell’art. 609 bis c.p.p. comma 1, tuttavia, secondo i giudici di merito non vi era stata una violenza con costrizione fisica, perchè la paziente era allettata, ancora sotto gli effetti dell’anestesia per l’intervento pomeridiano, e quindi in condizioni di minorata difesa.

Di qui, la riqualificazione del fatto come induzione senza che fosse ravvisabile una modifica sostanziale dello stesso posto che nella descrizione formulata nel capo di imputazione si dava conto delle condizioni della donna, limitata nella sua libertà personale dopo l’intervento chirurgico, nonchè della circostanza di tempo notturna, e del delicato contesto, stante il rapporto non paritario tra il paramedico e la paziente.

La Sezione assegnataria del ricorso ha quindi escluso nella specie la violazione del principio di correlazione precisando che l’induzione necessaria ai fini della configurabilità del reato di cui all’art. 609-bis c.p., comma 2, n. 1, non si identifica solo con una subdola attività di persuasione della vittima per convincerla a prestare il proprio consenso all’atto sessuale, ma si estrinseca in qualsiasi forma di sopraffazione posta in essere dall’agente, anche senza ricorso ad atti costrittivi ed intimidatori nei confronti della vittima, la quale soggiace al volere dell’autore della condotta, non risultando in grado di opporsi a causa della sua condizione di inferiorità; quest’ultima è concetto ampio che colpisce qualunque condizione di menomazione permanente o transeunte della vittima che venga strumentalizzata a fini sessuali: ad esempio, la disabilità mentale, a prescindere dall’esistenza di una vera e propria patologia; la subdola opera di persuasione o di ricatto morale dell’agente; l’abuso di alcol e stupefacenti che possono eventualmente anche annientare del tutto la percezione della violenza sessuale, come nel caso del dormiente.

Nel caso di specie la donna aveva subito la condotta nelle particolari condizioni sopradescritte e nell’ignoranza della pratica medica, di cui aveva acquisito piena consapevolezza solo dopo il confronto con il sanitario il giorno successivo.

La Corte, pertanto, ravvisando la ricorrenza di tutti gli elementi costitutivi della fattispecie, ha confermato la declaratoria di responsabilità annullando la sentenza limitatamente all’applicabilità delle circostanze attenuanti generiche con rinvio per nuovo giudizio sul punto.

fonte: altalex.com

domenica 22 ottobre 2023

Bonus dipendenti: nel 2024 può andare anche a chi non ha figli

 Con la manovra di bilancio per il 2024 attualmente in discussione, viene estesa a tutto il prossimo anno la possibilità per le aziende di erogare fringe benefit esenti da imposta per i dipendenti. Normalmente il limite massimo esente da imposta per i lavoratori che lo ricevono è di 258 euro, ma nel 2023 è stato portato a 3 mila euro solo per nuclei famigliari con figli a carico. Nel 2024 il nuovo limite sarà di mille euro per tutti, cifra che raddoppia in caso di dipendenti con figli.

Bonus 2024: le novità

Al momento la legge di bilancio è ancora in discussione, quindi, non si conoscono nel dettaglio tutti i requisiti tecnici; tuttavia è molto probabile che la misura ricalchi quella in vigore già quest'anno (2023) ma che permetta di allargare la platea di chi può ricevere i benefit esenti da imposta: se nel 2023 erano riservati solo ai dipendenti con figli (per un massimo di 3 mila euro), ora con la nuova legge di bilancio, potranno andare anche a tutti gli altri dipendenti (per un massimo di mille euro), mentre per chi ha figli l'importo massimo esente da imposta è stato abbassato a 2 mila euro.

È bene comunque ribadire che si tratta di benefit che il datore di lavoro non è obbligato a dare ai dipendenti, e che spetta solo al datore di lavoro scegliere se e a chi erogare il benefit. Vediamo allora come funziona oggi questo bonus e come viene concesso quello che si definisce bonus bollette. 

Bonus 2023: chi può riceverlo

Durante il 2023 il limite massimo di esclusione dal reddito di lavoro dipendente per i benefit concessi dall’azienda è di 3 mila euro, contro i 258 euro ordinari. In pratica, il valore dei beni ceduti e dei servizi prestati al lavoratore, compreso il bonus bollette non concorrono, entro il limite 3 mila euro, a formare il reddito di lavoro dipendente, di conseguenza non sono tassati. Questo nuovo limite riguarda esclusivamente i lavoratori con figli a carico, per tutti gli altri il limite rimane quello dei 258 euro.

All'interno di questo limite non rientra il bonus benzina che non concorre al raggiungimento del limite di spesa massimo per le erogazioni di beni e servizi da parte dell'azienda.

Come si può ottenere il bonus da 3 mila euro 

I beneficiari dell’agevolazione possono essere i lavoratori dipendenti e coloro che percepiscono redditi assimilati a quelli di lavoro dipendente, che però abbiano figli fiscalmente a carico per tutto il 2023. Se concessa dal dartore di lavoro, l’agevolazione può spettare a ogni genitore, anche con un solo figlio, purché lo stesso sia fiscalmente a carico di entrambi, a prescindere dalla percezione delle detrazioni per figli o dell’assegno unico universale.

Per poter ottenere il bonus il lavoratore deve presentare una dichiarazione al datore di lavoro in cui conferma di avervi diritto, indicando il codice fiscale dell’unico figlio o dei figli fiscalmente a carico. Allo stesso modo, qualora non ci siano più i presupposti per ottenerlo, ad esempio perché il figlio ha iniziato a percepire un reddito che non lo fa più risultare a carico del lavoratore bisogna comunicarlo prontamente al datore di lavoro che può effettuare i conguagli. Non esiste un modello di dichiarazione ufficiale, infatti, può essere effettuata secondo modalità concordate fra datore di lavoro e lavoratore. 

Chi può ottenere il bonus bollette

Il bonus può esser erogato solo dalle aziende che operano nel settore privato, sono quindi escluse le pubbliche amministrazioni. I beneficiari sono esclusivamente i lavoratori dipendenti, cioè coloro che percepiscono uno stipendio da lavoro dipendente. Chi riceve il contributo non paga alcuna imposta se ha figli a carico perché non è considerato reddito imponibile. Allo stesso modo, l’azienda lo deduce completamente dal proprio reddito.

Tuttavia, grazie a una circolare dell’Agenzia delle entrate è stato chiarito che se non opera la soglia dei 3 mila euro perché il dipendente non ha figli, rimane la soglia ordinaria di esenzione fino a 258,23 euro per il valore dei beni ceduti e dei servizi prestati che però non è estensibile ai rimborsi per il bonus bollette per il quale resta applicabile il principio generale secondo cui qualunque somma percepita dal lavoratore costituisce reddito imponibile di lavoro dipendente. In pratica, chi non ha figli non può ricevere un rimborso per le bollette, ma solo un contributo generico, nel limite massimo di 258 euro per far sì che non sia imponibile.

Per quali immobili

I contributi per il pagamento delle utenze possono riguardare immobili ad uso abitativo del dipendente, del coniuge o dei suoi familiari, a prescindere che negli stessi abbiano stabilito la residenza o il domicilio. L’unica condizione necessaria è che ne sostengano effettivamente le relative spese.

Rientrano tra le utenze agevolabili per i dipendenti anche quelle per uso domestico intestate al condominio, che vengono ripartite fra i condomini (per la quota rimasta a carico del singolo condomino) e quelle intestate al locatore se nel contratto di locazione è prevista espressamente una forma di addebito non forfetario a carico del locatario (o del coniuge e familiari).

In ogni caso ogni singola utenza può usufruire di un solo contributo.

Come poter ottenere il contributo

Il contributo non deve esser richiesto, infatti è l’azienda che decide se erogarlo o meno, potendo anche scegliere liberamente le persone cui destinarlo. Quindi non si tratta di un contributo percepito indistintamente da tutta la popolazione dipendente dell’azienda.

sabato 21 ottobre 2023

Come vendere casa tra privati senza agenzia

 Vendere la propria la propria casa senza agenzia è più semplice di quello che sembra. Il primo passo è fare una valutazione del valore dell'immobile per stabilire un prezzo di vendita che sia in linea con il mercato, si comincia con guardare i prezzi degli immobili venduti in zona leggendo gli annunci di vendita e controllando presso le borse immobiliari delle Camere di Commercio.

Bisogna poi tener conto di altri parametri che incidono sul prezzo come: l’età dello stabile, lo stato di manutenzione, il piano, la presenza dell’ascensore e di altri servizi, il tipo di riscaldamento/raffrescamento, l’esposizione, la rumorosità, la vicinanza di parcheggi ecc.

I documenti necessari 

Il notaio ha il dovere di informare le parti riguardo tutti gli obblighi che la legge prevede per la documentazione da allegare alla vendita, inoltre ha il dovere di fare la maggior parte degli accertamenti. Dal momento che ogni immobile è un caso a sé, la mossa più saggia, per chi vende casa senza agenzia, è quella di consultare il notaio sin dall’inizio per ricevere il supporto necessario e verificare quali documenti siano davvero necessari. Importante anche informarsi presso lo Sportello Unico per l’Edilizia del Comune per avere informazioni precise sulle norme urbanistiche locali. Di norma il venditore deve preparare: 

- attestato di Prestazione Energetica (APE);

- atto di provenienza dell'immobile (ad esempio il rogito, la donazione);

- visura e planimetria catastale aggiornate ed eventuali condoni edilizi;

- visura ipotecaria dell'immobile;

- documenti che attestano la regolarità dell'immobile (permesso di costruire, o, autorizzazione amministrativa concessa dal Comune, Certificato di abitabilità);

- documenti che attestano la regolarità degli impianti (certificato di conformità degli impianti elettrico, termico e idraulico, radiotelevisivo ecc.).

La chiusura della trattativa

È importante avviarsi alla trattativa avendo ben chiaro il prezzo che si vuole raggiungere, il prezzo minimo sotto il quale non si vuole scendere ed eventuali concessioni che si è disposti a fare. Oltre agli aspetti economici bisogna considerare anche le modalità di pagamento e quante tranche sono previste, ad esempio potrebbe essere conveniente concedere uno sconto sul prezzo in cambio di un congruo anticipo che l’acquirente può esborsare già alla firma del preliminare.

In altre ipotesi si potrebbe mantenere alto il prezzo concedendo all’acquirente di anticipare o posticipare la data del rogito in base alle sue esigenze. Fondamentale è essere pazienti sapendo che difficilmente si arriva ad una conclusione in pochi giorni. Da un punto di vista legale, la trattativa si conclude quando chi ha fatto la proposta riceve l’accettazione dell’altra parte. 

Il contratto preliminare 

Il contratto preliminare, denominato impropriamente “compromesso”, non determina il passaggio di proprietà dell’immobile, ma fa sorgere in entrambi i contraenti l’obbligo di stipulare il contratto definitivo. Non bisogna sottovalutare la firma di questo atto dal momento che gli elementi essenziali dell’accordo si fissano proprio con il contratto preliminare e il notaio dovrà tenerne conto nella redazione del rogito.

Modalità di pagamento, necessità di accedere ai locali per lavori prima della vendita, eventuale permanenza di un inquilino, sono tutti aspetti che vanno regolati al momento di fare il compromesso. Ricordati che da marzo scorso i preliminari si posso registrare direttamente sul sito dell'Agenzia delle Entrate senza dover recarsi fisicamente in un ufficio. Rivolgiti al notaio per ogni dubbio.

I rischi di vendere casa da privato

In una compravendita il venditore è sicuramente la parte forte, i rischi che corre non sono tanto legati all’assenza di un mediatore quanto al fatto di accordarsi correttamente sulle modalità di pagamento e di consegna dell’immobile e nell’essere estremante corretto nelle informazioni che si danno al venditore.

Riguardo al primo aspetto è necessario essere chiari sulle modalità di pagamento dell’immobile non accettando acconti ma solo caparre. Farsi pagare il saldo con assegno circolare o depositando la somma presso il notaio prima del rogito, in questo modo il venditore ha la garanzia d’incassare la sua parte.

Riguardo al secondo aspetto, per mettersi al riparo da successive rivalse dell’acquirente è necessario essere completamente trasparenti sulle qualità dell’immobile, riportando sul contratto preliminare tutti i vizi, le spese condominiali in sospeso, la presenza di ipoteche o la mancata conformità degli impianti. 

Bisogna tener presente che né il notaio né l’agenzia immobiliare sono tenuti a verificare la presenza di eventuali difformità urbanistiche, quindi in caso di dubbi meglio chiedere una relazione tecnica a un professionista (ad esempio architetto, ingegnere).

Vendere casa a un parente 

La vendita di un immobile a un parente non è differente da quella tra privati, quindi, non esistono agevolazioni o sconti sulle tasse. Tuttavia, occorre prestare molta attenzione quando lo si fa perché se il prezzo di vendita non è congruo, cioè non in linea con i prezzi di mercato si potrebbero ledere i diritti di altri parenti e cadere nell’ipotesi di donazione fittizia. Ad esempio, se un figlio comprasse dal genitore un appartamento che ha un valore di mercato di 200 mila euro pagandolo solo 50 mila, l’eventuale altro figlio potrebbe impugnare l’atto per simulazione di donazione, cioè il genitore ha registrato una vendita fittizia per escluderlo dalla successione di quel bene in favore del fratello. 

Responsabilità professionale medica, stop alle "liti temerarie" contro i medici

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